L’8 marzo delle bambine ribelli

Sognate più in grande, puntate più in alto, lottate con più energia. E, nel dubbio, ricordate: avete ragione voi

Con queste parole si chiude uno dei nostri libri preferiti: Storie della buonanotte per bambine ribelli. Un titolo sfavillante che celebra una realtà più magica di qualsiasi castello. Il racconto di 100 eroine moderne: donne forti, complesse, indomite. Capaci di coltivare la propria passione, e di lottare per scegliere il proprio destino.

Giovani o meno giovani, note a tutti o sconosciute ai più, spesso innamorate ma per nulla aggrappate al principe azzurro: le 100 donne del libro sono scienziate, piratesse, pittrici, musiciste, attiviste. Soprattutto, sono il simbolo di una vita coraggiosa, non convenzionale, fuori dall’ordinario. Original, come piace a noi.

In occasione dell’8 marzo, abbiamo scelto di raccontarvene 3 che ci hanno colpito particolarmente. Per ricordare a tutte le bambine del mondo che se vogliono, possono davvero diventare tutto ciò che desiderano.

 
Amelia Earhart. Via Pagina Facebook Storie della buonanotte per bambine ribelli


 

Amelia Earhart

C’era una volta una bambina che voleva volare

Amelia sognava sin da piccola imprese avventurose, e per realizzarle si scontrò subito con le convezioni sociali di inizio ‘900, quando «per noi bambine leggere era considerato per bene, ma non molte altre attività all’aria aperta. E io amavo il basket, il tennis, la bicicletta, e mi cimentavo in tutti gli sport e i giochi più fisici…».

Scoprì la sua grande passione per la prima volta negli anni Venti: i suoi genitori la portarono a fare un breve volo su Los Angeles. «Appena ci staccammo dal suolo, capii che dovevo volare anch’io».

Nel 1923 divenne la sedicesima donna al mondo a ottenere il brevetto da pilota. Poco dopo, la più famosa aviatrice della storia e la prima a tentare il giro del mondo in aeroplano.

Persino Barbie le ha reso omaggio, includendo una bambola con le sue fattezze nella collezione “Inspiring Women”«È una delle donne coraggiose che hanno preso dei rischi, cambiato le regole e spianato la strada a generazioni di ragazze per sognare più grandi che mai».


Marie Curie

C’era una volta una bambina che voleva fare la scienziata 

«Uno scienziato nel suo laboratorio non è soltanto un tecnico: è anche un eterno fanciullo posto in faccia ai fenomeni naturali, che lo impressionano come in una fiaba».

La scienza era una fiaba per Marie Curie, pseudonimo altisonante di una fanciulla polacca di nome Marya, nata “ultima” e divenuta prima donna in assoluto a ricevere il Nobel, oltre che una delle sole due persone al mondo a vantarne due in discipline diverse.

Per riuscirci, Marie dedicò la vita interamente al progresso, fra mille sacrifici e contro mille avversità. Rimase orfana in adolescenza, partì in assoluta povertà per studiare a Parigi. Si laureò in soli 3 anni chiusa in una soffitta, soffrendo il freddo e la fame pur di raggiungere il proprio obiettivo.

Nella Ville Lumiére conobbe il marito, scoprì il polonio e il radio e insegnò pure alla prestigiosissima Sorbona: altro soffertissimo primato in un’epoca – la fine dell’800 – segnata da un profondo maschilismo.

Marie fu una donna sui generis, dotata di straordinaria indipendenza e determinazione, perfezionista intransigente e visionaria geniale. E dulcis in fundo, affatto arrivista. Basti pensare che per le sue scoperte non depositò mai alcun brevetto: «L’umanità ha bisogno di uomini d’azione, ma anche di sognatori per i quali perseguire disinteressatamente un fine è tanto imperioso quanto pensare al proprio profitto».


Jane Goodall. Via Pagina Facebook Storie della buonanotte per bambine ribelli


Jane Goodall

C’era una volta una bambina che voleva vivere nella giungla

Fino al 1960 il mondo accademico non sapeva nulla di scimpanzé. E neppure Jane Goodall, che andò in Tanzania per osservare i loro comportamenti a soli 26 anni e senza alcuna laurea o titolo scientifico. Tornò 15 mesi più tardi con una scoperta rivoluzionaria: l’uomo non era l’unico essere vivente in grado di ragionare e di risolvere un problema.

La storia di Jane Goodall è la storia della più grande naturalista vivente, una donna che a dispetto del suo fisico esile è in realtà un gigante dell’antropologia. Sessant’anni fa rivelò a tutti come le differenze tra noi uomini e le scimmie non è che siano così marcate, ridefinendo di fatto il concetto stesso di umanità.

La cosa più bella è che Jane fece tutto questo non stando sui libri o al microscopio, ma stringendo un rapporto di amicizia, quasi simbiotico, con uno scimpanzé nella riserva del Gombe, al confine col Congo. Gli diede anche nome e cognome: David Greybeard, per via del pelo brizzolato sul mento.

Con lui e con gli altri esemplari della comunità visse per mesi, scoprendo che gli scimpanzé adoperavano utensili per procurarsi il cibo e che erano addirittura in grado di fabbricarsene di nuovi.

Le sue deduzioni ridussero un divario ritenuto incolmabile per il pensiero scientifico del tempo. Di fatto, significarono ufficialmente che uomini e scimmie sono parte di una stessa famiglia.

Come disse il suo unico sostenitore maschile di allora, il professore dell’università Louis Leakey: «Ora dobbiamo ridefinire il concetto di utensile e quello di uomo; oppure dobbiamo accettare che anche gli scimpanzé siano umani».